I funghi “immaginati” sotto la chiesa del Sacro Cuore

Tutti noi facciamo sogni ad occhi aperti: sogniamo un partita di calcio, una bella vacanza, un bel lavoro, la compagnia di un cane…

Quando sogniamo ad occhi aperti immaginiamo anche dove e come il sogno si realizzerà. Don Luigi Gioga, il primo parroco della chiesa del S. Cuore, che si trova nella parte sud di Ivrea, quando nel 1961 vide ormai realizzato il suo sogno più grande, quello appunto di avere una chiesa nuova per la sua nuova parrocchia, sognò di ricavare un po’ di soldi per la manutenzione della Chiesa in cemento armato, molto bella e molto ampia, coltivando funghi prataioli nel sottochiesa. L’idea forse gli venne durante un viaggio in Francia, dove vide quelle coltivazioni. Fece arrivare un autocarro di terriccio adatto, lo fece distendere nel sottochiesa e vi mise, a solchi, il “micelio” che è il “seme” dei funghi. Io l’aiutai con entusiasmo in questo lavoro perchè, da alcuni mesi, ero viceparroco al S. Cuore.

Ad Ivrea, il vescovo Mons. Paolo Rostagno era morto e il nuovo vescovo di Ivrea si chiamava mons. Albino Mensa. Fu lui a trasferirmi da Pavone al S. Cuore di Ivrea. Ero un po’ dispiaciuto di aver lasciato Pavone, ma ero anche molto contento di essere il primo viceparroco della nuova parrocchia del S. Cuore. Ritornavo ad Ivrea, in questa città dei miei studi, che avevo visto crescere e che mi aveva sempre affascinato e ancora oggi mi affascina.

Il mio nuovo parroco era professore di filosofia. Con lui mi trovavo bene e con lui condividevo anche il sogno dei funghi coltivati. Quando ero ragazzo, tante volte ero andato a cercare e a raccogliere funghi sulle colline di Barone, Orio e Candia e quando il piccolo cestino si riempiva tornavo a casa orgoglioso di tutto quel ben di Dio. E poi, lo sapete, i funghi sono, oltre che molto belli, anche molto buoni.

Era febbraio-marzo quando iniziammo la coltivazione sotto la chiesa del S. Cuore. Io avevo il compito di tenere bene umida la terra, cosa che facevo con molta diligenza e intanto, dopo un po’ di tempo, spiavo i solchi per scorgere la prima “testolina”.

Il tempo passava, ma nessun fungo nasceva. A volte facevo una preghiera semplice: “Signore, fanne nascere almeno qualcuno.. almeno uno!” Ma nulla, nulla, nulla. Un giorno don Luigi Gioga ed io decidemmo che il “micelio” si era ormai consumato e che dovevamo ammettere la nostra sconfitta. I nostri erano funghi immaginati, ma mai erano nati. Abbandonammo l’impresa.

Sorpresa… dopo alcune settimane ritornai nel sottochiesa, ed era ormai estate, per vedere il campo della nostra sconfitta. A ridosso di un pilastrino, che vidi? Due funghi, belli e grassottelli; più avanti altri. Ne raccolsi un cestino e li portai al parroco. Non voleva credere ai suoi occhi…. I funghi sognati, lì, sul tavolo. “Vedi”, mi disse da buon filosofo, “nella vita non bisogna aver fretta, mai abbassare le ali e perdere la speranza”. Mangiammo quei funghi. Nel sottochiesa il terreno s’era ormai quasi del tutto seccato e non poteva più essere coltivato.

Nel tempo in cui restai alla parrocchia del S. Cuore in Ivrea, dal 1961 al 1966, si realizzò per me un altro sogno, quello di vedere il volto della Chiesa del Rabbi Gesù ringiovanito e sorridente.

Sono sicuro che, appena udite la parola “chiesa”, voi pensate: “Io so dov’è: là dove andiamo a messa la domenica”. Pensando così pensate bene, ma non pensate tutto. La parola Chiesa, che deriva dal greco, significa soprattutto “assemblea” di tutti coloro che credono in Gesù Cristo, cioè la grande famiglia dei cristiani. La Chiesa cattolica conta più di un miliardo di cattolici ed ha come capo riconosciuto il Papa. In quegli anni c’era un Papa che si chiamava Giovanni XXIII, aveva ottant’anni, il volto sereno di un nonno. Era molto buono e piaceva molto ai ragazzi. Egli si accorse che il volto della Chiesa cattolica negli ultimi secoli era diventato arcigno, duro ed aveva molte rughe. Decise di convocare a Roma tutti i vescovi del mondo in concilio — che si chiamò “Concilio Vaticano II” — e, insieme ai vescovi, di cambiare il volto della chiesa e ci riuscì.

Dal 1965, da quarant’anni, la chiesa ha un volto più bello e più giovane. Io vidi per la prima volta questo volto nuovo quando ero alla parrocchia del S. Cuore.

Dal libro “Ho incontrato un Rabbi e l’ho seguito – Da cinquant’anni sacerdote” di Don Renzo Gamerro (2006)