Parrocchia di San Giovanni Battista
San Giovanni fraz. Castellamonte
San Giovanni fraz. Castellamonte
La comunità parrocchiale di San Giovanni oggi conta circa 250 abitanti (è una delle più piccole parrocchie della diocesi). L’attuale chiesa parrocchiale, dedicata a San Giovanni Battista, è la sesta chiesa di riferimento per la comunità cristiana che abita in questo territorio.
La prima chiesa era l’antichissima Pieve di Santa Maria in Squarolo presso la frazione Cesare di San Martino, anteriore all’Anno Mille, una delle prime pievi della nostra diocesi, che purtroppo oggi non esiste più.
In seguito, la seconda chiesa parrocchiale fu individuata nella Chiesa di San Dionigi presso Casalito, più vicina al borgo di San Martino. Anche questa oggi non esiste più.
La terza chiesa parrocchiale fu collocata dentro le mura fortificate del borgo di San Martino nella chiesa della Madonne delle Grazie (conosciuta oggi come chiesa dei morti).
Intanto, dagli inizi del 1600 sappiamo dell’esistenza in questa regione “detta dei boschi”, di una prima piccola chiesetta dedicata a San Giovanni Battista.
Nel 1666 fu costruita l’attuale chiesa parrocchiale di San Martino che era anche quella di riferimento della comunità cristiana che abitava in questa regione (e fu la quarta chiesa parrocchiale).
Una preziosa curiosità: nell’archivio parrocchiale si conserva una bolla di papa Clemente XIII del 1760 che accompagna la reliquia che si venerava nella piccola chiesetta del nostro paese nel giorno della Natività di San Giovanni Battista.
Dal 1770 fu cappellano il primo sacerdote sangiovannese di cui abbiamo notizia: don Giovanni Domenico Grossio (1740-1820) che sarà il maggiore artefice nel 1787 dell’erezione della nuova parrocchia di San Giovanni Battista (che così si staccherà dalla chiesa matrice di San Martino). Tale chiesa parrocchiale (che fu quindi la quinta chiesa di riferimento per i cristiani della regione “dei boschi”) sorgeva dove ora c’è l’ambulatorio medico e la posta, all’inizio del paese, nei locali dell’ex asilo.
Il 24 gennaio 1787 l’allora vescovo di Ivrea, Mons. Giuseppe Ottavio Pochettini, proclamò l’erezione in Parrocchia della piccola chiesetta che aveva il titolo di San Giovanni Battista (quella di cui abbiamo notizia dagli inizi del 1600). Venne nominato prevosto della nuova parrocchia don Francesco Roppolo da San Martino.
Con la nascita della nuova parrocchia, tra gli usi e le consuetudini… sappiamo che, in segno di figliolanza verso la chiesa matrice di San Martino, il prevosto di San Giovanni aveva l’obbligo di offrire ogni anno un cero di 3 libbre (quasi 1 chilo e mezzo) e una moneta d’oro da 24 lire al pievano di San Martino.
Nel 1810 don Francesco Roppolo lasciò la parrocchia per motivi di salute e venne nominato nuovo prevosto il cappellano di San Bernardo: don Andrea Enrico originario di Pavone, che sarà prevosto per 25 anni (fino alla morte avvenuta nel 1836).
Nel 1813 si constatò che la chiesa parrocchiale era troppo piccola per contenere tutti i fedeli (si legge nei documenti che coloro che frequentavano la chiesa erano la “metà della popolazione”. Allora san Giovanni aveva 500 abitanti – il doppio rispetto ad oggi – e il 50% andava a Messa).
Don Andrea Enrico si trovò di fronte ad una scelta: ampliare l’antica chiesa parrocchiale oppure costruirne una nuova. Il consiglio di Chiesa deliberò per ampliare la chiesa già esistente ma ben presto si incontrarono difficoltà ad acquistare i terreni per gli ampliamenti previsti. Passano 6 anni e nulla si mosse. Allora il prevosto convocò di nuovo una riunione alla quale parteciparono 30 persone: 24 si pronunciarono per l’ampliamento della chiesa già esistente e solamente 6 per l’edificazione di una chiesa nuova.
Il 12 novembre 1819 il Consiglio di Chiesa deliberò nuovamente di dare l’avvio all’ampliamento della vecchia chiesa parrocchiale. Ma sebbene fosse stata presa ufficialmente questa decisione, anche questa volta non si mosse nulla, mentre l’idea di una nuova chiesa continuava ad avanzare, a piacere alla gente e a fare proseliti.
E fu proprio sul punto di dare l’inizio all’ampliamento, che il 24 febbraio 1820, molti capi di famiglia si recarono nella casa parrocchiale da don Andrea Enrico muniti di due fogli di carta bollata, segnata da testimoni forestieri: nella scrittura si erano obbligati per la somma di lire 2.000, destinate alla costruzione di una nuova chiesa parrocchiale per la quale cedevano gratuitamente una parte del terreno necessario e pregavano il prevosto don Enrico di volerli assecondare e assistere in questo loro intento.
In brevissimo tempo si fece tanto: il 7 aprile 1820 il vicario generale approvò la costruzione di una nuova chiesa (secondo i disegni già realizzati per la chiesa parrocchiale di Baldissero).
Il 14 maggio 1820 si formarono le cosiddette “Roidi”: erano 25 squadre di volontari composte da 6 persone (in tutto 150 persone e tra queste c’erano anche 7 donne). Il compito era quello di aiutare i muratori nella costruzione della chiesa.
Il giorno di Pentecoste del 1820, e precisamente domenica 21 maggio, si svolgeva il processo verbale per l’incanto e la messa in sito della prima pietra, pietra che è stata poi incastonata nella facciata ed è ancora oggi visibile sulla destra (sopra alla lapide dei caduti). Su questa pietra è stata incisa proprio la data del 1820: l’anno della posa della prima pietra.
I lavori di edificazione durarono 9 anni. La nuova chiesa fu poi benedetta il 24 giugno del 1829 dal delegato vescovile don Antonio Auda, arciprete di Pavone, che celebrò la prima Messa mattutina, mentre una grande Messa solenne, a mezzogiorno, fu celebrata dal prevosto don Andrea Enrico.
Il prevosto don Enrico, che ha costruito l’attuale chiesa (la sesta chiesa di riferimento per questa piccola comunità cristiana), morì nel 1836 e venne sepolto nell’antica chiesa parrocchiale. La pietra tombale la possiamo ancora vedere perché è stata portata collocata sul lato sinistro della facciata, in basso: nella pietra è incisa la frase: “qui giace il pio pastore don Andrea Enrico da Pavone, sepolto il 9 giugno 1836 e sopra il suo tumulo il popolo mai abbastanza lacrime sparge”.
E poi fu la volta di:
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